C’era una volta una Vecchia Signora che, nell’ultimo ventennio del secolo scorso, attraversava elegante i manti erbosi degli stadi d’Italia e d’Europa. Al suo passaggio imponeva, nelle squadre che incontrava sul suo cammino e nei tifosi avversari, riverenza e ammirazione. Non erano soltanto le vittorie che ne facevano icona sportiva, ma, anche, quello stile cercato e voluto da chi ne personificava l’immagine. Gianni Agnelli (per tutti “l’Avvocato”), il fratello Umberto (conosciuto come “il Dottore”) e Giampiero Boniperti (“Marisa” per i suoi avversari, che scelsero quel soprannome per i suoi boccoli biondi) erano l’esempio di cosa volesse dire “stile Juve” e rappresentarono la linea di continuità alla presidenza della Juventus FC. Una continuità che dura dal 1947 quando, Giovanni Agnelli, divenne presidente della squadra di Torino. In realtà, il club bianconero, apparteneva alla famiglia Agnelli già dal 1923, l’anno in cui Edoardo, padre di Giovanni e Umberto, prese in mano le redini del sodalizio. Il passaggio del testimone al timone della società, manteneva le linee guida volute ed imposte dall’Avvocato. Dal momento del suo insediamento, ogni decisione, sportiva ed economica, ogni mossa politica e persino ogni soprannome dei calciatori bianconeri passò per le sue stanze. Si devono a lui, tra gli altri, i soprannomi “Divin Codino” e “Pinturicchio”.

Già, Pinturicchio. Era l’estate del 1993 quando Giampiero Boniperti portò alla Juve un ragazzino di nome Alessandro. Il giovane attaccante aveva appena 19 anni e da due anni era aggregato alla prima squadra del Padova che militava nella serie cadetta. Nella stagione appena conclusa aveva siglato la sua pima rete tra i grandi nel 5-0 contro la Ternana. In quella partita andò a segno per i biancoscudati anche un altro futuro juventino, “il soldatino” Angelo Di Livio. La trattativa per portare Alessandro Del Piero alla Juventus si concluse in un solo giorno, perché su quel ragazzo nato il 9 novembre del 1974 a Conegliano, c’era anche l’interesse del Milan che lo vedeva come possibile erede di Marco Van Basten. Era la Juventus di Trapattoni, Peruzzi, Vialli, Ravanelli, del compianto Andrea Fortunato ma, soprattutto, era la Juventus del numero 10 più amato dai tifosi: Roberto Baggio, il Divin Codino insignito quell’anno anche del Pallone d’Oro. I primi dodici mesi di Alessandro in bianconero erano i tipici di apprendistato durante i quali, l’allievo, prendeva appunti dalle lezioni impartite dal maestro. Erano lezioni di arte, classe ed eleganza applicate al mondo del calcio. Il Divin Codino era capitano e uomo simbolo della Juventus di Trapattoni. Del Piero, si alternava tra la primavera e la prima squadra, con la quale esordì in campionato il 12 settembre del 1993 sostituendo Fabrizio Ravanelli. Dovette passare appena una settimana per realizzare la sua prima storica marcatura in bianconero. Entrò in campo all’80esimo, nuovamente al posto di “Penna Bianca”: l’assist arrivò da Angelo Di Livio, il movimento fu giusto per non dover nemmeno stoppare la palla e metterla alle spalle del portiere della Reggiana incrociando di sinistro. L’anno dei bianconeri si concluse senza vittorie e il club decise per un drastico cambio ai vertici societari e tecnici: nella sala dei bottoni arrivarono Moggi, Giraudo e Bettega, mentre in panchina fu scelto l’emergente Marcello Lippi. La rosa fu arricchita con gli arrivi di Ferrara, Sousa, Deschamps e un giovane Tacchinardi. In attacco, il ventenne di Cologno, complice un grave infortunio accorso al capitano Roberto Baggio, si ritagliò un posto da titolare. La Juve aveva sempre avuto numeri 10 che avevano fatto la storia del calcio: prima Sivori, poi Platini per arrivare infine a Roberto Baggio. Quei fuoriclasse non erano semplici campioni del mondo del calcio. Erano icone di grazia che, con le loro prodezze, avvicinavano lo sport all’arte. La stagione 1994/95 fu la stagione in cui la numero 10 passò dal maestro all’allievo. L’eredità avrebbe richiesto, anche e soprattutto, una forte componente estetica, per un ruolo che andava oltre il campo e gli schemi e finiva nell’immaginario dei ragazzini e dei tifosi che amavano quello sport.

Alessandro iniziava a prendere consapevolezza di quell’investitura. Una consapevolezza che divenne definitivamente tale nella partita contro la Fiorentina del 4 dicembre del 1994. La Juve raggiunge il pareggio grazie alla doppietta di Vialli che annulla il doppio vantaggio dei viola. Mancano ormai solo tre minuti al termine della gara. La palla arriva al terzino sinistro bianconero Alessandro Orlando che vede il movimento in profondità del suo compagno di squadra con la 10 dietro le spalle. Del Piero scatta in area di rigore tra il difensore centrale e il terzino destro, davanti a lui un portierone di 2 metri che risponde al nome di Francesco Toldo. Il lancio di Orlando è buono, ma lo spazio per stoppare quella palla non c’è. In quel momento Alessandro diventa ciò che era destinato ad essere raccogliendo l’eredità del suo maestro Baggio: un artista del calcio. La palla non toccherà mai terra e con un tocco d’esterno al volo, il numero 10 bianconero supererà con un pallonetto il portierone viola. La Juventus vincerà quella partita per 3-2 e prenderà coscienza che quello sarebbe stato l’anno giusto per tornare a vincere lo scudetto. Ormai Alessandro Del Piero, divenuto nel frattempo Alex, ha preso il posto del suo predecessore Roberto Baggio. La stagione successiva è quella della definitiva consacrazione. Il Divin Codino è stato ceduto al Milan e Del Piero si prende la Juve: smette di essere una promessa del calcio per diventare uno dei più grandi campioni della storia di questo sport. Per la prima volta nella storia del calcio italiano, le rose delle squadre di Serie A avranno la numerazione fissa con il cognome posto al di sopra del numero retrostante. Del Piero: 10. Il binomio del ragazzo di Cologno e quel numero era scontato. Bambini, ragazzini e tifosi sognavano quella maglia bianconera del loro nuovo idolo.

Ma non era solo quello a stuzzicare la fantasia di chi ne ammirava le gesta calcistiche. Il suo stile era unico. Capelli ora lunghi ora corti, basettoni incolti, colletto alzato, linguetta delle scarpe risvoltata e poi loro: i laccetti ai calzettoni. Non c’era giovane tifoso juventino che, giocando a calcio con gli amici, non legasse dei lacci alla parte alta dei propri calzettoni. Venivano distrutte scarpe, lasciate senza le loro stringhe, pur di poter sfoggiare “i laccetti alla Del Piero”. Apparvero improvvisamente sulle calze di Alex. La prima divisa della Juventus nel 1995/96 era composta dalla maglietta a righe bianconera, pantaloncini bianchi e calzettoni bianchi. Quei lacci neri che scendevano sulla parte esterna degli stinchi del suo numero 10 sembravano dover essere lì per Pinturicchio e il suo modo di giocare. Già, perché nel frattempo Agnelli ribattezzò Del Piero, con il nome del pittore perugino. La sua finta, con cui dava l’impressione di rientrare con l’interno del piede destro e poi invece spostava la palla con l’esterno, veniva enfatizzata dai quei laccetti che ne seguivano i movimenti. Come se ingannassero anche lo sguardo dei difensori avversari, illudendoli di rientrare per poi spostarsi la palla con l’esterno in modo tale da colpirla come solo lui sapeva fare: interno collo a giro con la sfera che muore sotto il secondo incrocio. I “gol alla Del Piero” nascevano così. E loro, quei fili neri che pendevano sui calzettoni, rallentavano il momento adornandolo di magia. Ecco quindi che la bellezza prendeva forma e diventava icona di un campione che si prenderà l’Italia, l’Europa e il Mondo. Quei laccetti che, rompendo qualsiasi schema, apparvero per accompagnare l’ascesa di Alex, scomparvero improvvisamente riposti in un cassetto, o forse, come raccontò Del Piero in un’intervista, erano sempre lì con lui nel risvolto in alto dei calzettoni.

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