Federico Buffa: l’ultimo cantastorie sportivo

Federico Buffa
Federico Buffa

Di Pierandrea Fanigliulo

“Don’t laugh” – “Non ridete!”

“Don’t laugh” – “Non ridete!”

“L’audience però un po’ sorride, in alcuni casi ride addirittura” – “Il premiato sta dicendo di non ridere perché secondo lui potrebbe essere in campo a cinquant’anni, mai dire mai!” – “Non si capisce se sia una minaccia o una promessa, d’altra parte il promettente o il minacciante è credibile” – “C’era in campo a quarant’anni e ha messo quarantatré punti” – “Siamo a Springfield nel Massachusetts, Hall of fame, e non è l’unico premiato” …

… “Poi però la luce fa il suo giro e torna dal suo prescelto” – “Lo fa sostanzialmente da febbraio del 1963 quando il premiato è nato a Brooklin” – “Il suo discorso è il discorso di un uomo che non c’entra con gli altri” – “E’ indiscutibilmente il più grande giocatore di tutti i tempi” – “E’ stato sei volte in finale e sei volte è stato l’Mvp” – “Non c’è bisogno dei numeri, i numeri lo offendono” – “E’ un esploratore dell’umanità; è un uomo che ha pensato che esistessero dei limiti e fatto tutto quello che poteva per superarli” – “E’ un realista atipico che ha sempre voluto l’impossibile” – “Non a caso termina il discorso con una frase abbastanza significativa: ‘I limiti, come le paure, spesso sono soltanto un’illusione’”…

… “Anni fa in un’inchiesta tra i ragazzi cinesi a metà degli anni Novanta alla domanda ‘Chi è stato il più grande uomo di sempre’ testa a testa tra Zhou Enlai e Michael Jordan” – “Si perché tutti ma proprio tutti conoscono Michael Jeffrey Jordan”.

Quella appena riportata è la parte iniziale di un documentario sul più grande giocatore di basket di tutti i tempi, Michael Jordan per l’appunto. Inutile fare paragoni tra questo e la docu-serie “The Last Dance”, prodotta da Espn e Netflix, sul campione americano. Nel primo è condensata in poco più di un’ora l’intera parabola sportiva, e non solo, di MJ; nella seconda, invece, viene narrata in dieci puntate tutta la carriera con i mille aneddoti ad essa collegati. Non c’è dubbio che entrambi siano lavori che lasciano il segno sebbene completamente diversi: in “The last dance” è lo stesso Jordan a raccontare, mentre nell’altro è un giornalista a utilizzare la sua voce come mezzo principe.

Il giornalista in questione è nato a Milano il 28 luglio del 1959. Ha avuto tante vite nelle quali è stato uno studente di Sociologia e poi un agente sportivo; un laureto in Giurisprudenza e un telecronista seduto accanto a Flavio Tranquillo; un opinionista per Milan Channel e un narratore di “storie mondiali”, ma non solo. Infatti il suo percorso è quello di un uomo che si spende per poter assaporare le infinite sfaccettature che lo sport e la parola possono offrire. Credo che il virgolettato di prima, con i dovuti paragoni e senza voler correre il rischio di essere tacciato di blasfemia, sia come “Cantami, o Diva, del Pelide Achille l’ira funesta…” per Omero: l’opera magna del suo “cantastoriato”. Già perché il giornalista in questione è senza dubbio l’ultimo vero cantastorie che possiamo apprezzare nel nostro paese, almeno per quanto riguarda le storie di sport.

Gigi Riva, Maradona, LeBron James, George Best, Del Piero e tanti altri campioni dei vari sport sino ad arrivare al suo ultimo lavoro: Pelè, O Rei. Quello che ho sempre apprezzato delle sue narrazioni è stata la sua capacità nello scegliere dei “frame” delle vite di questi campioni che ne svelavano i mattoncini più nascosti sui quali poi si è basata la loro ascesa. Non una narrazione cronologica nella quale si parte dagli inizi per poi giungere alla fine ma una serie di “fermi immagine” che riescono a spiegare le ragioni più vere e intrinseche che hanno portato Alessandro Del Piero, ad esempio, a diventare il fuoriclasse che ha scritto pagine indelebili della storia della Juventus. Certo, rubando una sua espressione “Perché rovinare una bella storia con la verità”, vien da sè che al netto dei documenti e della validità delle fonti, il suo romanzato ha certamente aggiunto magia agli episodi raccontati.

Storie narrate, come detto, attraverso istantanee di vita scovate tra i cespugli delle loro carriere, dentro gli scatoloni impolverati delle loro vite e capaci di svelare un personaggio che, effettivamente viene ritratto come quello che tutti conoscono, ma attraverso elementi completamente nuovi e sconosciuti. Fosse solo quello, perché poi per narrare ci vuole la sapienza del teatro di cui questo giornalista ha stimmate e calli; ancora, bisogna arricchire quei nomi sudamericani, o inglesi, perfino asiatici, della pronuncia più caratteristica che i loro stessi popoli saprebbero offrire. Come quando spiegò il soprannome di Maxi Moralez: El Frasquito, poesia!

Non è facile narrare storie di sport senza scadere nel banale. Come quando si ammira un tramonto sul mare e si scatta una foto. Su mille scatti, mille saranno bellissimi perché è il soggetto a rendere meravigliosa quell’istantanea. Poi ci sarà quell’artista che, oltre a fotografare un momento oggettivamente magnifico, saprà elevarlo ancora di più grazie al proprio talento.

Come un cantastorie che con la sua voce e le sue parole narra le gesta degli eroi. Un po’ come quando “Federico Buffa racconta…”.

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