C’era una volta un cavallino, o meglio, un cavallino rampante che amava correre, non importava come, lui voleva andare veloce. Il suo primo cavaliere fu Francesco Baracca, un aviatore caduto sul Montello, abbattuto da un biplano Austro-Ungarico. È stato il numero uno dell’aviazione italiana nella prima Guerra Mondiale: un campione dell’aeronautica militare. Quel cavallino rampante, però, per essere domato doveva appartenere ad un cavaliere che quella velocità l’avesse nel sangue. Ecco perché la madre del maggiore Baracca, la contessa Paolina Baracca, affidò quel simbolo a Enzo Ferrari: “Prendilo. Ti porterà fortuna!“. Ferrari, che la velocità la sognava rossa fiammante, accettò di buon grado il consiglio e prese con sé quel cavallino facendolo suo.

 

Passeranno anni, tantissimi anni, prima che quel simbolo tocchi l’apice del suo splendore. Prima che il suo nitrito diventi il rombo del motore di una macchina invincibile condotta verso la gloria da un pilota ineguagliabile. Prima di allora, però, la rossa di Maranello scriverà ugualmente pagine indelebili dell’automobilismo mondiale. Le firme in calce di quelle storie sportive apparteranno, soprattutto, a campioni come Alberto Ascari, Juan Manuel Fangio e Niki Lauda. Poi, il 3 gennaio 1969, vedrà la luce un neonato che avrebbe reso la Ferrari tra le più vincenti scuderie automobilistiche della storia.

 

Dopo appena quattro anni dalla sua nascita Michael Schumacher era già su un go-kart sfrecciando sulla pista del circuito di Kerpen. Andava talmente forte che un imprenditore del posto volle aiutarlo economicamente sostenendo la sua ascesa. Negli anni successivi, difatti, vinse il titolo junior tedesco e il campionato europeo a Göteborg, in Svezia. Lui e la velocità iniziavano ad avere un feeling solidissimo e più andava forte sulle piste, più bruciava le tappe della sua carriera: nel 1988 passò dai kart alle monoposto delle classi superiori; appena un anno più tardi passo nella Formula 3 che vinse nel 1990. Lo sbarco in Formula 1 era solo questione di tempo, di pochissimo tempo: nel 1991 approdò nella Jordan. La squadra irlandese, rivelazione della stagione, aveva necessità di sostituire nel Gran Premio del Belgio, Bertrand Gachot, in stato di arresto a Londra. Nonostante Schumacher affrontasse per la prima volta il difficile circuito, stupì gli addetti ai lavori, ottenendo il settimo posto durante le qualifiche. Sfortunatamente non riuscì a ripetersi in gara visto il ritiro dopo poche centinaia di metri, a causa della rottura della frizione. Tra quegli addetti ai lavori ve n’era uno in particolare nel quale scoccò il colpo di fulmine sportivo per quel ragazzo tedesco: Flavio Briatore.

 

Flavio Briatore era il direttore della Benetton e volle subito portare Schumacher nella scuderia italo-inglese; per farlo diede in cambio la sua seconda guida Roberto Moreno. Il pilota tedesco dimostrò di trovarsi sin da subito a suo agio nel nuovo team, tanto da andare a punti della sua prima gara con la Benetton, finendo davanti alla sua prima guida, Nelson Piquet. Il resto della stagione, sarà quella tipica del talento che famigliarizza con il “mondo dei grandi”: tante buone gare con qualche punto portato a casa qua e là.

 

Le cinque stagioni passate alla corte di Briatore saranno anni di velocissimo adattamento alle “corse dei grandi”. Nel 1992, precisamente domenica 30 agosto, salirà per la prima volta sul gradino più alto del podio in una gara di Formula 1. Il circuito prescelto è, nemmeno a dirlo, lo stesso del suo esordio: Spa, Gran Premio del Belgio. È la sua prima vittoria nell’Olimpo delle gare automobilistiche, un Olimpo del quale presto ne diverrà il re. Il 1993 fu una stagione di transizione per la Benetton. La scuderia italo-inglese, infatti, ottenne una fornitura esclusiva di motori Ford che consentì alle monoposto una continuità di risultati durante tutta la stagione. Ormai non mancava nulla per portare il titolo piloti nei box della Benetton. Così, il 1994, sembrava l’anno giusto per provare nell’impresa di detronizzare la Williams. I primi gran premi del campionato supportarono appieno questa speranza: Schumacher è un cannibale e trionfa in sei gare su sette dall’inizio della stagione. L’esito finale, però, non è affatto scontato. Complici sei gran premi in cui Schumi non porta punti, Demon Hill finisce ad uno solo dal pilota tedesco. Alla fine, però, Michael Schumacher si laurea campione del mondo di Formula 1. È la sua prima volta, ed è anche la prima volta di un pilota tedesco. L’impressione di tutti è che non si fermerà qui. Nella stagione successiva, infatti, Schumi replicherà la vittoria del mondiale senza lasciare alcuna speranza agli avversari. Ormai, quel bambino nato il 13 luglio del 1969 a Hurth, che già a 4 anni sfrecciava in pista sul suo go-kart, era diventato uno dei piloti più forti della sua epoca. Ma Schumacher era destinato a diventare un cavaliere e correre veloce verso la gloria insieme ad un certo cavallino rampante.

 

In nome di Enzo Ferrari, di Alberto Ascari e di Niki Lauda ti faccio cavaliere”. Furono pronunciate più o meno queste parole durante il “rito iniziatico” di Michael Schumacher quando, nel 1996, fu “investito cavaliere” dall’allora direttore della Ferrari Jean Todt. Il cavallino rampante aveva un nuovo compagno con il quale fuggire veloce sui rettilinei e aggredire le curve con cattiveria e calcolata incoscienza.

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