Il novello Italiano e l’invecchiato Ranieri: vini di qualità sulla tavola della Serie A

Vincenzo Italiano e Claudio Ranieri
Vincenzo Italiano e Claudio Ranieri

Di Pierandrea Fanigliulo

Il calcio moderno è oramai sempre più cervellotico: fatto di costruzioni dal basso, moduli che sfidano i più semplici assiomi matematici e professori di teologia prestati alle panchine nostrane. Fortunatamente, accanto a questa cucina gourmet da “palati fini”, si può ancora gustare un vino del 1951 dal gusto certo, che non tradisce mai, magari dopo un novello sincero e genuino come i vigneti siciliani da cui arriva. La moda di questo nuovo calcio impone di far giocare al portiere, anche pressato da più avversari, più palloni di quanti ne giocasse Pirlo nella Juve di Conte; lo stesso dicasi dei difensori chiamati a disimpegnarsi come Rui Costa faceva sulla trequarti, peccato che loro si trovino a pochi metri dalla porta che dovrebbero difendere. Ci sono tecnici come Roberto De Zerbi (nulla contro l’allenatore del Sassuolo) che sembrano aver inventato questo nuovo “verbo” calcistico, oltre il quale tutto meriterebbe di essere perseguito dalla Santa Inquisizione dei seguaci di Guardiola, del Tiki-Taka e della costruzione dal basso. Un calcio diverso da quello di chiara matrice spagnola dev’essere bollato come brutto e vecchio.

In realtà lo sport più bello del mondo è tale proprio perché non ha mai avuto limiti alla sua realizzazione: bastava un muro, un pallone e un paio di bambini per giocarlo. Gli eroi con le scarpette ai piedi potevano, e possono, essere un metro e sessanta o alti due; avere fisici statuari o profili più arrotondati; avere la pelle chiara o scura; i capelli biondi o neri; usare il piede destro o il mancino. Insomma il calcio è lo sport che tutti, ma proprio tutti, potevano e possono fare. Anche ai massimi livelli l’interpretazione resta estremamente soggettiva sebbene, com’è ovvio che sia, vi sono delle scuole di pensiero che accomunino i vari modi di giocarlo. In questi ultimi anni, quello citato prima e portato alla ribalta dal Barcellona di Xavi, Iniesta, Busquets, Messi e infine ma solo infine Guardiola, sembra essere diventato il “calcio dei più fighi”. Se il tuo portiere non gioca la palla sulla propria linea di porta pressato dagli attaccanti avversari sei un provincialotto arretrato. Lascia perdere se poi il vate di turno prende reti che avrebbero fatto la fortuna di “Mai dire Gol” (che manca tantissimo a questa giungla pallonara); davanti ai microfoni del post partita avrebbe spiegato, come un radical chic ornato di calice, sigaretta e libro introspettivo cecoslovacco, che “il suo calcio vuole che il portiere interpreti il ruolo in chiave moderna; che i suoi difensori non sono difensori ma centrocampisti e i centrocampisti evoluti a tuttocampisti”. E gli attaccanti? A boh! Per appartenere a questa élite devi poi dare i numeri per davvero: “Le mie squadre giocheranno con il 2-7-2”. Ad affermarlo è stato Thiago Motta agli esordi della sua esperienza in panchina con la primavera del PSG. In realtà ha poi specificato che intendeva dire che i giocatori in campo potevano essere contati da una fascia all’altra: due esterni di destra, sette giocatori nella zona centrale (incluso ovviamente il portiere) e gli altri due esterni a sinistra. Il vino del buon Thiago Motta, evidentemente, doveva tendere all’aceto.

Fortunatamente, tra tutto questo delirio dovuto a un frullato di scienze e pozioni magiche mal riuscite, vi sono ancora allenatori lontani tra loro a livello anagrafico ma vicini come tempra e concretezza. Claudio Ranieri e Vincenzo Italiano sono vini nostrani, di quelli che gusti in compagnia degli amici veri. Sir Claudio è stato per anni l’uomo chiamato a ricostruire dalle macerie di un fallimento; l’allenatore che invocavi quando la barca stava andando a fondo e che riusciva a ribaltare le sorti dell’annata calcistica. Sino a quando, nel 2016 compie una delle imprese più epiche dell’intera storia dello sport, non solo del calcio: diventa campione d’Inghilterra col il suo Leicester. Sembra la fotografia della sua carriera, vincere in una piazza che ambiva ad una tranquilla salvezza. Troppo poco personaggio per avere credito nelle “piazze che contano”: educato davanti ai microfoni, mai nascosto dietro a calendari, infortuni o meteo avverso, sempre a metterci la faccia prendendosi le proprie responsabilità, spesso anche qualcuna in più. Un gentleman d’altri tempi prestato al calcio. Un gentleman che però ha vissuto di calcio un’intera vita e che di questo sport conosce i segreti più nascosti e sa leggerlo come pochi. Claudio Ranieri, al pari di un lupo di mare che rispetta quel grande mistero blu, fa lo stesso con il calcio osservando le sue leggi: il portiere è il portiere e deve parare, il difensore deve difendere, gli esterni correre e mettere cross, i centrocampisti sono il vero motore della squadra e gli attaccanti devono fare gol, semplice! Già, perché il problema è che il calcio, in fondo, è uno sport semplice, altrimenti come sarebbe potuto essere così diffuso? Lui continua come sempre per la sua strada e non smette di regalare miracoli sportivi, ultima la Sampdoria presa sull’orlo del baratro lo scorso anno e risollevata grazie a quel tanto snobbato 4-4-2.

Prima del Ranieri del ‘51 a tavola, come detto, un novello siciliano che per coincidenze della vita è nato a Karlsruhe nel 1977 in Germania, dove i suoi genitori erano andati a trovare i nonni che si erano trasferiti lì per lavoro. Vincenzo Italiano è quel nuovo che apprezza ancora le cose genuine della vita e che non ha bisogno di costruirsi un personaggio per far parlare di sé. Lui preferisce far parlare il campo anche perché alla fine ha sempre lui l’ultima parola. Non è sponsorizzato, non viene chiamato maestro, da calciatore ha fatto una discreta carriera tra Serie A e tanta Serie B e quindi deve iniziare quella da allenatore facendo gavetta. E che male c’è? Senza la gavetta tante sfaccettature di qualsiasi mestiere non verranno mai vissute formando il professionista in maniera incompleta. Inizia come vice di Dal Canto nel Venezia per poi passare alla formazione allievi della Luparense San Paolo, squadra che militava in Serie D; era la stagione 2015-16. In appena cinque anni compie un salto in alto da medaglia d’oro alle Olimpiadi trovandosi a pieno merito in Serie A. Una Serie A guadagnata sul campo e non sui giornali, meritata con la qualità del lavoro quotidiano e il coraggio dell’uomo del Sud. Doti che gli hanno permesso sabato scorso di annientare con il suo Spezia i rossoneri di Pioli con un 2-0 che non ammette repliche. Un campionato strabiliante quello dei liguri che, senza nomi altisonanti, possono guardare con 9 punti di vantaggio la terzultima: il Cagliari fermo a quota 15 punti. L’allenatore Vincenzo Italiano è entrato in punta di piedi nel calcio dei grandi e non ha perso tempo a spiegare con le mani in tasca davanti ai microfoni il “suo calcio”. Lui e Ranieri conoscono lo sport più bello del mondo e rispettano le sue leggi senza sfidarle con numeri e interpretazioni cervellotiche. Due bottiglie di quel vino che sulle nostre tavole non dovrebbero mai mancare per continuare ad amare il calcio, quello vero!

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